ATTUALITA’ DELLA DEMOCRAZIA Sintesi del filo logico che la rende necessaria

Bruno Musso – Genova 18.7.23

Premesse. Il generale prevalere delle dittature legittima la diffusa sfiducia sulla tenuta delle democrazie di fronte alla complessità della società moderna; convinto del contrario, cercherò in questa breve sintesi di mettere in evidenza i punti che rendono la democrazia sempre più necessaria. Limiterò l’analisi al filo logico che in sequenza determina le interdipendenze fra democrazia, libertà, conoscenza, livello tecnologico, capacità produttiva, crescita delle risorse ed equità distributiva. Darò quindi per scontati i dati già esposti nelle precedenti analisi mentre, superando il generale rifiuto, cercherò di esaminare i vincoli che bloccano il nostro meccanismo istituzionale.

La democrazia come istanza, è nata 2.500 anni fa in Grecia, ma è rimasta un bel sogno utopico ed in Europa fino alla seconda metà del ‘900, ha prevalso sempre il potere imposto dall’alto. Le parziali eccezioni erano oligarchie minoritarie che si autolegittimavano, così come la nostra “democrazia” dell’Ottocento. La democrazia infatti per prevalere non si alimenta solo dei suoi elevati valori sociali, ma ha bisogno sia di un livello minimo di omogeneità economico/culturale della popolazione sia dei vantaggi collaterali in grado di imporla superando la naturale semplificazione del potere imposto.

Il primo timido esempio reale nasce infatti, con il suffragio universale, nella seconda metà del ‘900; è limitato ai soli paesi avanzati ma produce in meno di mezzo secolo risultati economico/sociale molto significativi. La spinta virtuosa si esaurisce però verso la fine del secolo e le dittature tendono a prevalere, come già avvenne per i Comuni italiani diventati signorie; è necessario capirne la ragione per superare il preconcetto che la nostra impreparata collettività non possa gestire la complessità e interdipendenza della società moderna.

Oggi per la prima volta invece nella storia umana la democrazia non solo è possibile ma anche necessaria; infatti in passato la produzione imponeva un lavoro faticoso, ripetitivo e con scarso contenuto conoscitivo; più facile, se non necessaria, era la rigida gerarchia e forte era la convenienza all’impiego del soggetto sottopagato, contadino, operaio o schiavo.

Il salto tecnologico dell’ultimo mezzo secolo, la rivoluzione elettronica, ha rovesciato la situazione accentuando l’interdipendenza conoscenza/produzione con la produzione che nasce dalla conoscenza, che a sua volta è figlia della produzione. I paesi avanzati si alimentano e producono una conoscenza diffusa, che è incompatibile con la dittatura perché presuppone la libertà. Inoltre l’impiego del soggetto sottopagato non rappresenta più un vantaggio ma bensì un costo economico mentre l’imposizione gerarchica richiede una violenza intollerabile e crescente.

Il prevalere delle dittature non evidenzia quindi la crisi della democrazia ma solo della logica del nostro impianto istituzionale, pensato 3 secoli fa dall’Illuminismo francese in un paese agricolo per legittimare e consolidare la nascente borghesia. È facile pensare che non sia più idoneo per le nuove necessità di una società post industriale e post borghese, e sia necessario ipotizzare uno strumento partecipativo più avanzato, che ieri era impossibile ed è oggi necessario.

Logica della democrazia. La democrazia non si realizza con una semplice dichiarazione di principio ma necessita strumenti idonei che diano alla collettività il diritto di partecipare alla gestione del proprio futuro e del collettivo benessere economico/sociale. Utopistico infatti è sognare il Sovrano illuminato che soddisfi le necessità, che neppure conosce, della collettività, moltitudine inespressa; è infatti inevitabile che privilegerebbe le proprie nella logica obbligata della dittatura.

I meccanismi attuativi della struttura democratica sono quindi molto complessi perché le decisioni di vertice non possono fare capo alla collettività (come nei tentativi della democrazia greca), ma neppure essere delegate senza controllo; devono quindi esistere strumenti idonei che forniscano a ciascuno il potere e la conoscenza necessari a esercitare le scelte di propria competenza. Si tratta quindi di un meccanismo di delega/controllo tra base e vertice che secondo il tipo di delega potrà essere diretto o dovrà venire esercitato attraverso una catena gerarchico/conoscitiva.

La democrazia per raggiungere l’obiettivo di massimizzare il benessere collettivo e l’equità distributiva ha bisogno quindi sia un omogeneo livello di diritti che un meccanismo economico capace di rendere reali tali diritti realizzando le necessarie condizioni economico/sociali. Le rivoluzioni mancate, specie quelle del ‘900, sono caratterizzate dall’ottenimento di elevati diritti formali, privi però di una struttura economica in grado di garantirli; emblematica è la proprietà pubblica dei mezzi di produzione: massima uguaglianza formale minimo contenuto reale.

Diritti e meccanismi economici attuativi sono fra loro interdipendenti ma devono essere esaminati singolarmente perché gli strumenti utilizzabili sono condizionati da logiche opposte e confondere i due momenti, come spesso viene fatto, rende i problemi irrisolvibili. L’odierna crisi mondiale delle democrazie nasce dall’aver sottovalutato, per non dire ignorato, tale distinzione utilizzando, anche per i meccanismi economici, gli strumenti pensati e validi per i diritti.

Riconoscimento dei diritti. È la parte facile del meccanismo democratico perché i diritti dei singoli derivano da un rapporto diretto base/vertice, sono fondamentalmente stabili e si evolvono lentamente nel tempo. La borghesia aveva bisogno di superare i diritti feudali e la tripartizione dei poteri è stata pensata a questo scopo: il parlamento a maggioranza borghese stabiliva le leggi (diritti) il governo le faceva rispettare e la magistratura decideva sulle vertenze. Il rapporto diretto base/vertice con cadenza periodica era consono all’evoluzione graduale; inoltre l’elettore (prima la sola borghesia poi la collettività) conosceva i diritti da rivendicare, poteva controllare l’operato degli eletti, sostituendo i non idonei.  

Il sistema ha assolto il proprio ruolo, prima legittimando diritti e libertà della borghesia e poi garantendo una diffusa uguaglianza di diritti, tale da rendere oggi corretta la dichiarazione: “la legge è uguale per tutti”. La borghesia invece, come classe privilegiata non voleva l’equità distributiva né il controllo pubblico per garantirla. Non ha quindi previsto lo strumento per realizzarla e nessuno, perdurando il potere borghese, ha valutato la necessità di integrare il nostro meccanismo istituzionale; inevitabile così che la crisi derivata da un vuoto nella struttura pubblica esplodesse nel momento in cui cresceva la sua importanza.

Struttura produttiva. Diverse sono le logiche che permettono al meccanismo produttivo di soddisfare le necessità della collettività rendendo reali i diritti acquisiti. Il singolo soggetto della collettività, quando esprime le proprie necessità come utente, deve capirle, valutarle, esprimerle, imporle al produttore, e controllare che vengano soddisfatte al meglio. In mancanza di questo meccanismo è il produttore che decide, ignora le necessità dell’utente, non ha la convenienza di soddisfarle e privilegia le proprie che sono ad esse contrarie.

È la legge della dialettica domanda/offerta che rappresenta il nucleo dei rapporti produttivo/sociali, finalizzati a soddisfare le necessità della collettività/utente e garantire un elevato livello economico /sociale. La cultura marxista, per tutto l’Ottocento e non solo, ha invece privilegiato la dialettica padrone/lavoratore, come chiave interpretativa dello scontro sociale. Questo angolo visuale che, come vedremo inizialmente permetteva una prassi consona all’obbiettivo da raggiungere, nel tempo è diventata sempre più contradittorio.

Nel meccanismo produttivo capitalista lo strumento di cui dispone la collettività/utente per soddisfare le proprie necessità è infatti il mercato che garantisce il potere d’acquisto e rappresenta il punto più avanzato, per non dire l’unico, di partecipazione democratica a livello economico. Infatti è attualmente l’unico strumento di cui dispone la collettività/utente per esprimere le necessità economiche che, diversamente dai diritti, sono costituite da migliaia di istanze, diverse e sparse nel territorio, continuamente variabili, che richiedo una struttura capillare capace di recepirle e per soddisfarle e adeguarsi in tempo reale.

Non è quindi utilizzabile un rapporto base/vertice, come le elezioni per i diritti, perché sarebbe puramente formale e la base non avrebbe nessun poter per condizionare il vertice. Nel capitalismo la collettività/utente si interfaccia infatti con la base di una struttura diffusa sul territorio, l’azienda, costituita da una piramide gerarchico/conoscitiva; la base recepisce le singole e specifiche necessità, le elabora per la parte di propria competenza e trasmette ai livelli superiori le rimanenti, risalendo livello per livello ai vertici aziendali; i vertici, ricevute le informazioni di propria competenza, effettuano le scelte necessarie da cui si origina il coordinamento e potere che sempre attraverso i vari livelli discende dal vertice alla base. Grazie a questo complesso meccanismo produttivo si ottiene che le necessità prioritarie della collettività/utente prevalgano su quelle subordinate del produttore.

La collettività/utente non si limita però a richiedere un prodotto ma, conoscendo le proprie necessità può identificare quello che a suo parere meglio le soddisfa e che quindi realizza l’ottimizzazione produttiva. Scatta così il circolo virtuoso del sistema da cui deriva la crescita delle risorse e della conoscenza; entrambi costituiscono il presupposto che rende reali e non solo formali i diritti acquisiti.

Il mercato limita anche il profitto imprenditoriale che in un regime di reale concorrenza rappresenta un 2%-3% del valore del prodotto e rimane quindi molto contenuto. A fronte di tale cifra infatti l’imprenditore identifica le necessità della collettività/utente, organizza la produzione per soddisfarle al meglio e paga con il fallimento l’errore valutativo; la mano pubblica invece preleva un 50% del prodotto (Pil), ignora le necessità della collettività, fa poco per soddisfarle e nessuno paga per gli errori commessi. Non è quindi errato affermare che l’imprenditore “regala” e non “ruba” risorse alla collettività perché il suo valore aggiunto è superiore al suo costo.

Teorie marxiste funzione e degenerazione. Non condanniamo però le teorie marxiste che invece, nel quadro di riferimento originale, mantengono una totale validità, che viene a mancare solo utilizzandole in una situazione totalmente cambiata. Marx aveva infatti capito che la distribuzione delle risorse è determinata dal grado di potere, cioè dai diritti dei soggetti coinvolti e quindi per abbattere l’inaccettabile miseria del proletariato era necessaria l’uguaglianza di diritti ottenibile solo con la lotta di classe.

Il concetto, pur corretto, non era di facile comprensione; più facile sostituirlo in pratica con la più comprensibile teoria del “plus valore” – “non ti pagano una parte del lavoro fatto”. La teoria, pur utilizzando una logica errata (lo sfruttamento nasce a livello politico e non tecnico-aziendale), ha permesso una prassi corretta, trasformando la lotta di classe in lotta sindacale; a quei tempi era corretto perché esisteva una totale identità fra proletario/lavoratore da una parte e borghese/padrone dall’altra.

Era anche corretto ignorare la produzione, vista come “farina del diavolo”, perché non serviva al proletariato, mantenuto a livello di pura sussistenza, mentre ogni aumento di produttività (maggiore efficienza) implicava un aumento non di benessere ma di disoccupazione che espelleva dal ciclo produttivo parte del proletariato, costretto ad emigrare. In questa fase e fino a metà del ‘900, la lotta sindacale è stata la forza dirompente della lotta di classe con sinistra e sindacati che rappresentavano la forza dell’evoluzione positiva e costruivano la democrazia e il benessere collettivo.

Il posto di lavoro era anche l’unico luogo dove il proletariato poteva rivendicare il diritto d’esistere ed ottenere un salario che non rappresentasse la pura sopravvivenza. La lotta sindacale era quindi lotta di classe e come tale spingeva l’evoluzione positiva. La contradizione si è evidenziata nella fase successiva quando, ottenuta la parità di diritti, l’obbiettivo è diventato non solo un’equità distributiva sul posto di lavoro ma soprattutto un meccanismo produttivo in grado di garantire a livello economico i diritti acquisiti.

Si sono infatti rovesciati i termini di riferimento: il lavoratore è diventato un produttore le cui necessità sono contrarie a quelle prioritarie della collettività/utente e l’efficienza produttiva è diventato l’elemento portante dello sviluppo occupazionale e del benessere collettivo. In termini quantitativi il fenomeno è evidente; se esaminiamo infatti una situazione come quella italiana, dati i diritti acquisiti e rispettando la legge, una diversa politica distributiva può forse, con enormi difficoltà, raddoppiare i redditi dei livelli bassi della piramide aziendale; viceversa l’aumento di risorse prodotto dall’ottimizzazione produttiva capitalistica nella seconda metà del ‘900, è stato di 10 volte, raggiungendo livelli economici e sociali mai raggiunti.

L’aumento delle risorse economiche di nuovo possibile grazie alla rivoluzione elettronica dovrebbe essere di altre 10 volte; questo aumento totale di risorse di 100 volte grazie all’efficienza produttiva, se ben gestito, e l’elemento portante di una nuova e diversa politica di sinistra capace di modificare la situazione economico/sociale e garantire il benessere diffuso in una società equa e governata democraticamente. La contradizione si evidenzia particolarmente nei settori gestiti dalla mano pubblica dove la collettività/utente è più debole perché non dispone della difesa né del mercato né della politica che privilegia il produttore.

L’evoluzione in corso e l’aumento di importanza della struttura pubblica ha reso infatti la prassi di sinistra sempre più contradittoria rispetto agli obbiettivi da raggiungere, come evidenziano le scelte politiche prevalenti. Infatti la base della piramide sociale è necessariamente maggioritaria per cui se chi la difende risulta minoritario significa che è errato o il meccanismo di delega o la chiave interpretativa utilizzata.

La sinistra attualmente, incapace di adeguare la sua logica alle nuove realtà, risulta ovunque perdente, con l’aggiunta che normalmente votano a sinistra i quartieri agiati e a destra le periferie. A livello economico è infatti caduta la distinzione destra/sinistra e la residua tenuta della sinistra deriva principalmente dalla paura della perdita dei diritti che caratterizza il prevalere delle destre.

Nella seconda metà del ‘900, quando questi condizionamenti erano solo latenti, l’aumento di capacità produttiva ha creato il binomio democrazia/capitalismo dove tutte le democrazie erano capitalistiche mentre il capitalismo avanzato si sviluppava solo nei sistemi democratici. La spinta virtuosa si è esaurita però a fine ‘900, impedendo l’ulteriore crescita del benessere, proprio quando la rivoluzione elettronica avrebbe dovuto permettere nuovamente un aumento di 10 volte.

Condizionamenti dei cambiamenti. La struttura pubblica esistente, era basata sulla tripartizione dei poteri per gestire diritti, leggi e regole economiche, e si integrava con lo strumento democratico del mercato capitalista per garantire il potere d’acquisto; ha così progressivamente soddisfatto le necessità elementari del proletariato, in precedenza privo di diritti, che non possedeva nulla. Esso chiedeva di poter disporre dei normali beni e servizi di una società moderna e sapendo cosa voleva, poteva giudicare i risultati raggiunti gestendo al meglio le proprie richieste individuali.

Soddisfatte queste necessità, e in parte a causa del loro soddisfacimento, è diventato necessario soddisfare necessità più complesse e non gestibili dal mercato. Questa impossibilità nasceva da molteplici vincoli: 1) sociali – sanità, istruzioni e servizi gratuiti; 2) monopoli naturali e gestione del territorio – strade, porti, ferrovia, trasporti urbani, parchi pubblici, ecc.; 3) temporali e dimensionali – necessità ecologiche, equilibri geopolitici, ecc. Sono tutte attività caratterizzate da una domanda collettiva e non gestibili dalla domanda individuale, per cui sono prive dello strumento necessario per esprimersi ed imporsi al produttore; questa domanda, priva degli strumenti per esprimersi, può essere valutata oggi un 70% del totale.

Ricompaiono così, pur con ragioni diverse, parecchi vincoli dell’Ottocento; diventa impossibile qualsiasi equilibrio economico per la mancanza di circa il 70% della domanda globale, come era avvenuto nell’Ottocento, per la mancanza del potere d’acquisto del proletariato; inoltre l’economia non può crescere a causa dei colli di bottiglia della parte pubblica e quindi qualsiasi aumento di produttività si trasforma in disoccupazione. La disfunzione da noi si evidenzia meno grazie alle varie coperture sociali; è dirompente invece nel terzo mondo, trasformato in una polveriera pronta ad esplodere. Crescono i divari economici fra ricchi e poveri e i drammatici problemi ecologici diventano irrisolvibili dal semplice bla.bla.bla dei discorsi politici, (Greta docet).

Costatato che una parte produttiva non è gestibile dal mercato capitalistico, con un’ingenuità oggi inaccettabile, si è pensato che per garantire l’interesse collettivo era sufficiente delegarne la gestione alla mano pubblica. Il comportamento virtuoso del soggetto pubblico non è invece automatico ma richiede che la collettività disponga dei meccanismi idonei per imporlo; in mancanza rimane un diritto puramente formale, semplice dichiarazioni di principio, che come ci insegna la storia, ha sempre coperto i peggiori abusi. Così la proprietà pubblica dei mezzi di produzione ha garantito alla collettività un diritto puramente formale, mentre permetteva che un gruppo ristretto operasse in totale arbitrio, senza controllo.

La situazione odierna ripete questo collaudato schema perverso: la mano pubblica non ha gli strumenti per conoscere le necessità della collettività, non ha la convenienza a soddisfarle e la collettività non ha uno strumento per imporle; il  produttore pubblico privilegia le proprie necessità, stabilisce e controlla cosa fare, nel duplice ruolo di controllante e controllato, mentre la mancanza di controlli reali viene sostituita da troppi controlli formali che servono principalmente a una generale deresponsabilizzazione. Il “governante illuminato”, difensore degli interessi della collettività, è un inutile sogno utopico che nasconde la sostanza del dittatore.

Le elezioni solo marginalmente possono rappresentare il controllo democratico della collettività; sono un rapporto periodico e diretto base/vertice, indispensabile per stabilire i diritti ma impotenti nella gestione economica che, come abbiamo visto, richiede un inserimento capillare sul territorio e un controllo continuo in tempo reale, con un collegamento base/vertice non diretto ma realizzato da una struttura gerarchico/conoscitiva che livello per livello analizza e gestisce le necessità della collettività/utente. Se tutto ciò manca, prevale l’arbitrio.

Conseguenze. La situazione è più drammatica di quella che appare; infatti normalmente ci limitiamo a confrontare la realtà attuale con quella precedente, il bicchiere mezzo pieno; questo ignora però l’immensa possibilità a livello economico/sociale, realizzabile dal salto tecnologico connesso all’elettronica. È questo immenso divario fra situazione reale e possibile l’origine di tutti gli squilibri.

Ci soffermiamo spesso sulla corruzione, grave a livello morale ma economicamente, salvo casi limiti, non così significativa. Può riguardare il 2% – 3% del costo di produzione mentre ben più grave è il danno del non fare, o fare male, che facilmente può produrre un aumento generale di costo del 3 -400% forse anche al 1.000%. Genova, caso limite, rappresenta un esempio emblematico del fenomeno.

La realtà possibile, come abbiamo visto, dovrebbe infatti essere caratterizzata da un aumento di 10 volte del nostro benessere e tenore di vita, perché l’attuale introduzione del computer nel ciclo produttivo è analoga all’introduzione del motore che ha permesso il passaggio dal medio Evo all’età moderna. È quindi un obbiettivo non solo possibile ma anche necessario, perché necessaria diventa in economia qualsiasi evoluzione possibile.

L’elemento più dirompente è però a livello conoscitivo; infatti la mancanza di in meccanismo di controllo reale impedisce l’ottimizzazione produttiva e quindi a caduta la crescita di risorse e di conoscenza. La mancanza di risorse conseguenza dell’incapacità pubblica crea colli di bottiglia che condizionano lo sviluppo di molti settori, ma la mancanza di un meccanismo conoscitivo reca danni molto maggiori perché inquina tutto il dibattito politico/culturale.

La struttura pubblica, in forma più o meno spinta, non ha la capacità di valutare la convenienza fra le varie scelte produttive di sua competenza e viene fortemente condizionata sia dalla posizione dei privati coinvolti che hanno una maggiore conoscenza specifica, ma sono in conflitto d’interesse, sia dai sondaggi che riportano l’opinione pubblica prevalente. La struttura pubblica che dovrebbe contrastare il potere dei privati e gli squilibri di una collettività non preparata, diventa invece in entrambi casi il moltiplicatore delle peggiori istanze.

Si forma una classe formata da politici e burocrati, la dittatura diffusa che gestisce la mano pubblica, ma non sa oggettivamente cosa conviene fare e di conseguenza senza difficoltà promette tutto a una collettività incapace di valutare necessità, strumenti realizzativi e risultati raggiungibili e raggiunti. Le promesse non mantenute spingono a chiedere di più, seguendo chi lo promette non nel futuro, poco attendibile e valutabile, ma nel presente. Nasce una generale difesa del presente ottenuta penalizzando il futuro, con debito pubblico, squilibri urbanistici, idraulici ed ecologici. Le disfunzioni si accumulano e bruciano lo spazio del domani.

Ricerca di una logica alternativa, l’esperienza dei Soviet. Già all’inizio del ‘900 i rivoluzionari russi avevano capito l’impossibilità del nostro impianto istituzionale di controllare il meccanismo produttivo ed l’equità distributiva ed avevano ipotizzato la costituzione dei Soviet. Con esso veniva costituito un nuovo nucleo organizzativo, il Soviet, che inseriva le “masse” operaie e contadine nell’auto gestione dell’attività produttiva, diventando la base gerarchico/conoscitiva che, agglomerandosi livello per livello, costruiva la struttura pubblica.   

Sembrava, nell’ottica marxista, la soluzione di tutti i problemi: si eleminava lo sfruttamento del “padrone” e si dava integralmente al proletariato la gestione politico/economica; difficile resistere al fascino di questa soluzione. È stato necessario un secolo per capire che l’ipotesi prendeva in considerazione, secondo la logica marxista, solo il momento produttivo non l’intero ciclo e trascurava l’efficienza produttiva e l’utilizzo del prodotto; il potere dato al proletario/operaio era in contrasto con le sue stesse necessità come collettività/utente. Solo una feroce dittatura ha permesso di garantire la produzione e superare questa drammatica contradizione.

Il meccanismo, pur inutilizzabile, utilizzava però una logica parzialmente corretta da cui si può forse partire per ricuperare gli elementi utilizzabili. Preso atto che le elezioni periodiche sono un rapporto diretto base/vertice e non possono servire per la gestione economica, che richiede un controllo capillare, continuo, diversificato e ancorato al territorio, bisogna ipotizzare una logica diversa molto più simile a quella dell’organizzazione aziendale; i Soviet infatti utilizzavano l’azienda come nucleo organizzativo di base.

È necessario quindi ipotizzare una struttura gerarchico/amministrativa ancorata al territorio, divisa per livelli, con un meccanismo continuo, che permetta a ciascun livello organizzativo della collettività/utente di disporre degli strumenti necessari per conoscere le proprie necessità, valutarle, chiedere che vengano soddisfatte e controllare il risultato ottenuto. Questo meccanismo non assolve solo al ruolo di controllo della base rispetto al vertice ma anche quello, forse prioritario, di fornire ai singoli soggetti della collettività/utente la conoscenza necessaria ad effettuare le scelte di loro competenza.

Il singolo infatti per la domanda individuale sa cosa vuole perché riguarda proprie necessità, nel caso di domanda collettiva la conoscenza necessaria richiede invece preliminarmente un suo inserimento organizzativo perché possa disporre della conoscenza e del potere necessari (due facce della stessa moneta); in mancanza il rapporto base/vertice diventa una delega in bianco all’utopico ma inesistente governante “illuminato”.

Le organizzazioni aziendali non sono però utilizzabile a causa del contrasto fra produttore e collettività/utente e le varie ipotesi avanzate si sono rilevate semplici palliativi non idonei a superare l’incubo dei Soviet. Il problema pareva irrisolvibile ma, per smettere di essere tale, è bastato superare un inconscio, ma radicato, vincolo mentale; parlando di produzione facciamo infatti riferimento al meccanismo produttivo, perché rappresenta sia la parte organizzata, che lo strumento che gestisce la produzione.

La produzione invece, in una lettura più corretta, è solo lo strumento utilizzato per soddisfare le necessità della collettività/utente ed è ad esse subordinata; quando la produzione, per le ragioni viste, non può essere controllata dalla domanda del singolo della collettività/utente, non è necessario modificarla, ma è sufficiente superare la domanda individuale per agglomerare e gestire la domanda collettiva di tutti i soggetti che utilizzano gli specifici prodotti.

Si può così ricreare un meccanismo analogo a quello oggi aziendale senza modificare l’organizzazione produttiva ma bensì il modo di manifestarsi ed esprimersi delle necessità della specifica collettività/utente. Questo meccanismo virtuoso può garantisce, anche nei casi privi di domanda collettiva, analogo potere di imposizione e controllo esercitato per la domanda individuale, e ottenere un risultato di ottimizzazione produttiva, crescita, benessere collettivo e conoscenza, analogo a quello delle democrazie nella seconda parte del ‘900.

Se infatti ciascun gruppo della collettività/utente ha la dimensione necessaria per controllare la produzione che soddisfa le specifiche necessità, diventa possibile esprimerle, imporle e controllarne l’esecuzione, come fa il singolo per le necessità espresse dalla domanda individuale. Per l’asilo saranno le mamme del quartiere, per i trasporti urbani gli abitanti della città e così via via, risalendo i vari livelli, arrivare ai problemi nazionali e internazionali.

In tutti questi casi i vari gruppi della collettività/utente, livello per livello possono disporre della conoscenza e del potere necessari per conoscere le specifiche necessità, valutarne priorità e compatibilità, imporle, controllare i risultati ottenuti e ottenere l’ottimizzare produttiva

Ipotesi per una soluzione alternativa -IV Potere.  Sulla base di quanto detto possiamo ipotizzare una soluzione concreta, che permetta alla collettività/utente di controllare il risultato delle scelte economiche, anche nei settori di domanda collettiva che soddisfano unitariamente necessità di gruppi più o meno ampi della collettività. Vale per autostrada, porto, ferrovia, servizi gratuiti o agevolati, equilibrio ecologico, idraulico, abitativo; per tutti la domanda non è individuale ma coinvolge unitariamente gruppi più o meno ampi di popolazione.

In questi casi infatti le scelte e l’organizzazione produttiva che sfuggono al controllo del singolo, possono invece essere riprese dalla collettività/utente affidandole ai gruppi che fruisco dello specifico prodotto. La logica dell’organizzazione dell’azienda può servire come traccia per identificare il meccanismo virtuoso richiesto; possiamo ipotizzare il IV potere come una piramide costituita da una catena gerarchica/conoscitiva continua dove la base, interagendo con i gruppi della collettività/utente, fornisce le informazioni necessarie alla produzione, le raccoglie e seleziona livello per livello fino ad arrivare al vertice da dove coordinamento e potere ridiscendono alla base. È così possibile collegare le molteplici necessità della collettività/utente con l’unità gestionale aziendale prescelta.

In passato in azienda la parte pensante dell’attività era riservata a una piccola élite, perché la maggioranza del lavoro era di pura esecuzione, faticoso, ripetitivo e più consono a un meccanismo impositivo. L’evoluzione tecnologica connessa all’elettronica ha eliminato progressivamente il lavoro puramente esecutivo, sviluppando quello conoscitivo in un rapporto di sempre maggiore interdipendenza reciproca; oggi per produrre bisogna conoscere, per conoscere bisogna produrre. L’azienda ha reagito con tempestività accentuando la generale partecipazione al processo produttivo per cui conoscenza e potere partono dal basso, risalgono livello per livello la catena gerarchico/conoscitiva e ridiscendo alla base con una continua interdipendenza e coordinamento.

Gli immensi risultati ottenuti sono figli di questa logica; un qualsiasi oggetto che utilizziamo, telefonino, calcolatore, automobile, contiene un know how che spesso è il principale valore dell’oggetto stesso ed è stato reso possibile dal lavoro e intelligenza di decine o centinaia di migliaia di individui operanti in una catena gerarchico/conoscitiva che ha saputo inserire e coordinare l’intelligenza, la conoscenza e la fantasia creativa di tutti loro. Certo esiste una scelta di vertice ma senza un’adeguata macchina organizzativa questi risultati non sarebbero stati possibili. La logica del IV potere sarà caratterizzata da una maggiore interdipendenza conoscenza/potere e ogni livello eleggerà i rappresentanti del livello superiore.

Inserimento sul territorio. Per garantire il controllo democratico anche per i prodotti soggetti a domanda collettiva si può ipotizzare che il nucleo di base dell’organizzazione del IV potere, sia rappresentato dal Municipio o eventuali suoi sotto gruppi, centri non di produzione, come nel caso dei Soviet, ma di necessità umane della collettività/utente; essi gestiranno la domanda collettiva dei propri cittadini, si agglomereranno con i nuclei degli altri Municipi, coprendo l’intero Comune, che a sua volta si agglomererà con gli altri Comuni della Regione e, risalendo i livelli della piramide organizzativa, coinvolgerà progressivamente Stati, U.E. per arrivare forse a un coinvolgimento globale tipo Onu.

Ogni livello nominerà un coordinatore e un rappresentante per costruire il livello superiore; conoscenza e potere saliranno lungo la catena organizzativa in modo che ciascuno, per le decisioni di propria competenza, disponga con riferimento al livello in cui opera, del potere e conoscenza necessari. Ciascuno infatti svolge un’attività che conosce, riceve le informazioni necessarie ed è in grado di trasmettere quelle di competenza del livello superiore. Se manca come oggi questo inserimento gerarchico/organizzativo, il singolo non sa nulla, non ha potere e decide in base al fascino dei vari slogan.

Non facile da ipotizzare ma possibile; indipendentemente dal dettaglio pratico che dovrà essere messo a punto, rimane comunque l’unica direzione possibile per costruire quella conoscenza collettiva necessaria a realizzare una democrazia reale, controllata dalla collettività, e non una semplice copertura di facciata. È una strada obbligata sulla quale dobbiamo incamminarci; basterebbe comunque, dopo una non breve gestazione, realizzare metà della conoscenza diffusa ottenuta dalla struttura produttiva aziendale, per risolvere la maggioranza degli attuali problemi mondiali e buttare le basi per un mondo governato non più dalla forza ma dal diritto.

Prospettive. Sarebbe infatti superato, pur con tempi non brevi, il conflitto democrazia/dittatura, perché se la produzione riesce a liberare le reali risorse potenziali disponibili può effettuare un salto quantitativo/qualitativo negato alle dittature. Infatti l’intelligenza necessaria è compatibile solo con la libertà ed incompatibile con la dittatura. Inoltre nel momento che la produzione richiede intelligenza, il sottosviluppato, dominato e sotto pagato, non è più un vantaggio ma un costo aggiuntivo; la convivenza diventa più conveniente del dominio.

Anche i problemi strategici di lungo periodo, che non riusciamo a risolvere, quali gli equilibri ecologici, idrici, urbanistici, di mobilità collettiva, ecc., potrebbero diventare risolvibili, disponendo finalmente delle necessarie risorse economiche e conoscenze collettive Risorse e conoscenze sufficienti anche a garantire all’intero pianeta un livello di vita accettabile superando le attuali spaventose diseguaglianze che generano i migranti e compromettono qualsiasi ipotesi di soluzione. Oggettivamente sembrerebbe l’unica strada per un equilibrio mondiale.

Utopia forse, ma sembrava tale, a un proletario dell’inizio del ‘900, anche la situazione raggiunta da un analogo soggetto nelle democrazie avanzate a fine secolo; è stato sufficiente realizzare una più avanzata organizzazione pubblica capace di offrire maggiore giustizia e abbattere alcuni privilegi. Oggi la storia si ripete e l’occasione si presenta di nuovo, con l’aggiunta che l’alternativa è molto più drammatica di quella ipotizzabile il secolo scorso. Sta a noi influenzare la scelta della strada da seguire.

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