SPOSTAMENTO DIGA RISCHI E OPPORTUNITA’

Bruno Musso – Genova 7.5.23

Premesse. Un’opera di tali dimensioni crea inevitabilmente paure e speranze, spingendoci a valutare un bilancio costi/benefici. Vorrei distinguere l’aspetto tecnico da quello logistico; il primo non è di mia competenza anche se le obbiezioni avanzate sembrano abbastanza credibili e a buon senso ero arrivato a valutazioni analoghe considerando che costruire con 50 metri di fondale, specie con sotto 15 metri di fango, fosse abbastanza problematico. Esamino quindi, come mi è stato chiesto, la funzione logistica, come sia condizionata dalle soluzioni tecniche e come cambierebbe ipotizzando un’alternativa più facile ed economica. Spesso i grandi progetti, a causa dei lunghi tempi di elaborazione, al momento di essere realizzati, sono già superati dal cambiamento tecnologico.

Punto di partenza: negli anni ’30 è stato realizzato il porto di Sampierdarena, interrando 3 km di costa e realizzando, 10 km. di banchina a pettine; le navi erano piccole, l’operazione portuale era lenta e l’attività portuale consisteva nel passaggio diretto fra mezzo terrestre (principalmente vagone) e nave. Il binario ferroviario arrivava lungo tutte le banchine per cui era possibile lavorare contemporaneamente 80 navi; forse era uno dei maggiori impianti portuali d’Europa. Sintetizziamo ora l’evoluzione logistica degli ultimi 70 anni.

Evoluzione tecnologica. Alla fine degli anni ’50 inizia l’evoluzione tecnologica portuale rappresentata dal container: Sea Land ’56 in U.S.A. La nuova tecnologia trasforma il porto nel nucleo di una logica organizzativa di tipo industriale, incompatibile con gli uomini “a giornata” forniti dalle Compagnie Portuali. Incontra grandi difficoltà in Italia e i primi tentativi, quali le navi Grendi del ’67, sono stati fermati. Bisogna così aspettare l’inizio degli anni ’90 (riforma portuale 84/94) per adeguare la legge italiana alle nuove necessità logistiche. I 25 anni di ritardo hanno però prodotto danni irreversibili all’armamento intermodale italiano penalizzandolo nei servizi oceanici, dove prima primeggiava.

La tecnologia del container ha permesso di far crescere la dimensione della nave e la velocità di scarico/carico rendendo non più possibile il passaggio diretto nave/trasporto terrestre e richiedendo ampi piazzali di stoccaggio container. Il porto di Genova/Pra con banchina rettilinea rispecchia (anche se un po’ in ritardo) questa nuova impostazione. Segue uno forte sviluppo di traffico e il porto di Genova cresce in 7 anni da 300.000 teu a 1.500.000 con un tasso del 24% anno; la crescita si ferma, per saturazione delle infrastrutture, a inizio di questo secolo e si riduce all’1% anno.

Difficile in Nord Italia aumentare gli spazi portuali, perché mentre i porti del Nord Europa sono porti canale con spazi illimitati (10.000 ettari ciascuno), i porti italiani sono invece ricavati sul mare; Genova in particolare pur avendo costruito ben 14 km. di diga foranea davanti alla città, dispone di solo 200 ettari ed oggi è quasi impossibile aumentarli senza produrre un sollevamento popolare. Genova è infatti il punto dove l’Appennino è più ripido quindi ha più difficoltà, anche rispetto gli altri porti del Nord Italia a realizzare almeno piccoli ampliamenti.

In una visione tradizionale si può quindi solo pensare di rendere operativa parte dei 14 km. di diga foranea, per trovare nuovi spazi, allontanando l’attività dalle abitazioni ed eventualmente utilizzare la sua parte esterna, appositamente attrezzata, per ridare un parziale riaffaccio al mare della città; questa ipotesi è stata poco studiata mentre potrebbe essere utile per facilitare la convivenza città/porto.

Gigantismo navale. In questa situazione di oggettiva difficoltà all’inizio del secolo è esploso il gigantismo navale con mega navi da 20.000 teu (300.000 tons), che costituisce il grande salto tecnologico/dimensionale della logistica; la dimensione della nave è resa possibile dalla tecnologia portuale che a sua volta deriva dalla dimensione nave. Le navi devono poter caricare 8.000 teu/giorno contro i 1.500 – 2.000 precedenti e manipolare in ogni porto toccato almeno 15.000 teu contro i 3 – 4.000 precedenti.

Se un porto serve 3 consorzi armatoriali che con grandi navi offrono ciascuno 3 partenze alla settimana viene movimentato con 3 soli punti operativi un traffico di 6 milioni di teu anno, pari circa a quello di tutti i porti del Nord Itali; grande aumento di potenzialità per adeguarsi alle necessità del villaggio globale. Sono traffici immensi che richiedono un corretto inserimento sul territorio, perché hanno difficoltà negli spostamenti terrestri e necessitano quindi di migliaia di ettari limitrofi di spazi logistici, con il porto che diventa la calamita per razionalizzare l’uso del territorio.

Tutto ciò richiede un altissimo livello tecnologico portuale: più gru servono la nave e diversi carroponti la zona di stoccaggio; i due punti sono collegati fra di loro da a.g.v. cioè mezzi elettrici autonomi, integralmente automatizzati perché solo le macchine hanno la precisione e la velocità adeguate al servizio richiesto. Nessun uomo è operativo all’interno del chiuso spazio di ciascun terminal e l’intervento umano è utilizzato per motivi di sicurezza, ma solo in remoto, nel punto in cui il terminal si interfaccia con personale esterno cioè autisti e marittimi.

Nulla di tutto ciò è stato possibile realizzare nei porti italiani di destinazione finale perché mancano la dimensione e gli spazi necessari. L’uomo rimane così prevalente nella guida dei mezzi, nulla è automatico, esistono solo carroponti di stoccaggio guidati in remoto. Senza il salto tecnologico siamo condannati all’emarginazione diventando la periferia logistica del Nord Europa. Stiamo ripercorrendo la drammatica esperienza ligure di metà ‘800: i camoglini possedevano la più grande flotta di velieri esistenti al mondo, però a inizio ‘800 era iniziata la navigazione a motore. Hanno cercato di opporsi prima chiedendo al governo italiano di proibire l’istallazione del motore sulle navi poi cercando di aumentare la competitività con migliorie veliche.

La lotta è durata circa 30 anni ed è passata alla storia come la sindrome della navigazione a vela; la tecnologia ha inevitabilmente vinto e la flotta camoglina è progressivamente scomparsa. Oggi i porti italiani: sono in una situazione analoga e cercano di contrastare la superiorità dei porti del Nord Europa con piccoli miglioramenti: frazionamento del traffico fra più terminal, ricupero di brandelli di spazio, e migliori collegamenti con l’interno, ma sono tutti interventi marginali non sufficienti per le necessità delle grandi navi.

Il Bruco. Per trasformare i vincoli in possibilità rileviamo che l’Appennino ha dietro a Genova ha morfologia alpina, quindi consolidata e rappresenta inoltre il suo punto più stretto, richiedendo solo 38 km. di tunnel per passare dall’isola della diga foranea di Genova-Pra agli spazi illimitati della pianura Padana zona Basaluzzo/Novi Ligure. Sulla diga foranea, lunga 1.900 metri, inutilizzata e con 20 metri di fondale, adeguatamente allargata si possono realizzare 3 terminal dotati di 200 ettari ciascuno nel porto “secco” oltre Appennino.

L’attuale livello tecnologico facilita questa soluzione perché il collegamento nave/porto secco può essere effettuato con gli a.g.v. elettrici standard utilizzati nel Nord Europa che essendo interamente automatizzati non presentano particolari difficoltà a superare questa maggiore distanza. È sufficiente l’utilizzo di un maggior numero di a.g.v. per nave; grazie però all’alta potenzialità tale onere non supera i 15 € a container, che forse può essere ancora dimezzato adattando le caratteristiche degli a.g.v. alle necessità del servizio. È comunque una cifra trascurabile perché i container stoccati in zona Novi Ligure risparmiano 50 km. (70 €) per raggiungere il proprio hinterland; esistono molti altri risparmi di trasporto sia marittimo che terrestre, sufficienti a finanziare l’intera opera.

Non ci sono altri significativi problemi tecnici perché l’elevata automazione richiede pochi interventi umani, comunque eseguiti in remoto e quindi effettuabili da un qualsiasi ufficio di Genova, Milano o Torino. Questa soluzione è possibile solo grazie al salto tecnologico infatti quando operano 3 navi in contemporaneo vengono mossi, ininterrottamente per 24 ore, 1.000 teu/ora che corrispondono a 650 trailer/ora o 15 treni (uno ogni 5 minuti); operazione impossibile perché cade l’appuntamento treno/nave, la garanzia delle sequenze e il necessario isolamento acustico.

Il Bruco prevede tutto il percorso in galleria, nella prima parte ricavata in una finta collina che scherma anche il porto dalla parte urbana; la diga foranea verrà allargata di circa 60 metri in più per ridare alla città 2 km. di affaccio al mare con una finta collina di divisione attrezzata con sentieri, piste ciclabili e lungo mare una piscina larga 30 metri che smorza le grandi libecciate invernali e diventa balneabile in estate.

Spostamento diga di Sampierdarena. Quanto detto evidenzia meglio il possibile utilizzo logistico dello spostamento diga. Bisogna eliminare la doppia entrata ipotizzata per salvare la diga dell’Ottocento che però non esiste più, perché mangiata dal mare, mentre l’attuale è del ‘900 e rappresenta un intralcio alla navigazione. Diventa infatti pericolosa l’entrata alla stazione passeggeri delle navi da crociera specie crescendo la dimensione; un probabile incidente creerebbe a tutti soggetti coinvolti problemi di responsabilità penali come il crollo della torre piloti.

La diga verrebbe quindi spostata solo di 300 metri e non 500 metri rimanendo su fondali di 35 metri. Sono stati fatti da professioni quali Silva e Barbazza degli studi, ancora migliorabili in cui si prevede una larghezza della diga superiore ai 100 metri utilizzata come quella di Pra all’interno (Nord) a scopo portuale e all’esterno (Sud) restituita alla citta come affaccio al mare.

È previsto un autonomo attacco autostradale (Aeroporto) e ferroviario (parco binari ex Italsider). Avrà inoltre un bacino di evoluzione di 850 metri idoneo per servire in sicurezza sia le navi passeggeri anche future, sia le mega navi di 20.000 teu. Difficilmente però queste ultime lo utilizzeranno a causa dell’insufficienza degli spazi (25 ettari il Bettolo) e della capacità di deflusso; così è successo al terminal di Vado.

Lo spazio portuale del bacino di Sampierdarena, aumentato di un 50% e alleggerito del traffico pesante spostato al Bruco, potrà finalmente risolvere buona parte dei problemi sospesi. Si potranno potenziare i passeggeri crociere e traghetti, le autostrade del Mare, il traffici container mediterranei traghetti e lo-lo, nonché quelle altre aziende che non trovano sistemazione. Genova potrà avere un forte sviluppo occupazionale come centro logistico del Mediterraneo e diventare uno dei grandi porti europei muovendo 10 milioni di teu, senza intaccare ma anzi migliorando l’abitabilità urbana.

Un pensiero riguardo “SPOSTAMENTO DIGA RISCHI E OPPORTUNITA’

  1. Caro Bruno, la tua proposta ripercorre idealmente quanto fatto a Savona con la teleferica del carbone, e dai tuoi ragionamento mi sembra pienamente condivisibile. Mi chiedo, e ti chiedo, quali sono i reali motivi di resistenza allo sviluppo della tua idea? Politici? Lobbyes radicate che pensano di perdere i loro privilegi? Difficoltà tecnico-logistiche legate alla realizzazione di una galleria? Eccessivi rischi di blocco in caso di malfunzionamento?
    Grazie dell’attenzione,
    Marco Sitia

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