GLI HOUTI E LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA

Vengo spesso accusato di catastrofismo; devo invece constatare che la realtà supera le mie pessimistiche previsioni: la guerra ibrida degli Houti, anche se poco considerata, costituisce infatti un cambio di passo, che accelera il generale squilibrio mondiale. I suoi due principali aspetti sono il rapporto tecnologia militare-democrazia e la rottura dell’equilibrio economico.

Rapporto tecnologia militare – democrazia. È facile rilevare lo spaventoso aumento della potenza ed elasticità delle armi per cui un piccolo gruppo di ribelli con risorse abbastanza limitate riesce a tenere in scacco le marine militari dell’Occidente avanzato, che invece utilizzano un armamento complesso e costosissimo; le pur elevate risorse dell’Occidente avrebbero difficoltà a fronteggiare l’apertura (possibile) di altri focolai analoghi.

Il problema viene accentuato dal vincolo della democrazia che limita l’uso della forza a contrastare una violenza destabilizzante e inaccettabile; quindi guerra di difesa e non di attacco. La linea che divide le due logiche è sottilissima e impone sensibilità, conoscenza ed equilibrio. Gli uomini dei nostri governi spesso non hanno idee proprie ma, utilizzando i sondaggi, seguono gli umori di una collettività spaventata e impreparata, assolutamente incapace di effettuare queste delicate, complesse e faticose scelte.

L’unica alternativa sembrerebbe l’uomo “forte”, cioè il dittatore, che però è inaccettabile e spesso stenta a reggere, aprendo alla guerra per bande, ormai spesso dominante. La collettività per effettuare scelte coscienti deve infatti disporre di uno strumento democratico che le fornisca ai singoli il potere e la conoscenza necessari. La guerra consiste infatti in un’organizzazione operativa e, come abbiamo ripetuto fino alla noia, le elezioni non sono sufficienti a gestire l’operatività produttiva, ma non disponiamo di un idoneo strumento democratico: l’equilibrio mondiale rimarrà a rischio, fino a quando non avremo colmato questo vuoto.

Di conseguenza le democrazie usano oggi la forza a scopo principalmente di difesa; contro gli Houti sono schierate tutte le flotte delle società democratiche ma con il solo compito di difendere le nostre navi, intercettando gli strumenti d’attacco cioè proiettili, droni, missili. La sofisticata strumentalizzazione della marina militare dovrebbe agevolmente permettere di identificare i punti da cui provengono gli attacchi e distruggerli; si esulerebbe però dai compiti fissati (regole d’ingaggio), con un’azione di attacco e non più di difesa. Questa guerra diseguale permette a pochi ribelli di tenere in scacco le potenti flotte occidentali; vincoli analoghi hanno finora impedito all’Ucraina di contrastare l’aggressione russa.

Vincoli economici. Già in passato era stato bloccato il canale di Suez, arrecando un danno all’economia globale, ma il vincolo riguardava tutti e non modificava gli equilibri economici dei soggetti coinvolti. Oggi all’entrata del Mar Rosso tale vincolo è invece differenziato, alcuni passano (cinesi e turchi) altri no; questo fa saltare le regole del meccanismo produttivo la cui efficienza non è più determinante, perché prevale il legame con i detentori del potere; le dittature che finanziano e sostengono i gruppi armati ottengono così un forte aiuto.

Le conseguenze economiche vanno ancora oltre e sono esplosive: se i vari gruppi decidono chi passa nei punti controllati, possono seguire le istruzioni di chi li finanzia o autofinanziarsi esigendo un pedaggio. Il modello Houti è quindi ripetibile in decine di punti e le nostre forze armate (esercito e marina) non avrebbero nessuna possibilità di contrastarlo.

Si ricreerebbe un Medio Evo caratterizzato dallo scontro Guelfi-Ghibellini (democrazie-dittature) organizzato intorno ai signori della guerra che impongono un pedaggio per ogni attività svolta. Cade così lo spazio tecnologico/produttivo e la possibilità di far sopravvivere sulla terra 8 miliardi di abitanti, mentre la potenza delle armi apre a scenari senza ritorno. Inevitabile diventa l’implosione del sistema economico/sociale e l’esperienza degli Houti ne evidenzia i tempi brevi.

La sopravvivenza della società richiede che le democrazie escano dall’attuale lungo letargo e prendano coscienza dei limiti del nostro impianto istituzionale studiato per garantire i diritti dei cittadini, ma privo degli strumenti necessari alla partecipazione della collettività alle strategie produttive, oggi nucleo portante della realtà economico/sociale. L’alternativa è il prevalere della dittatura, il passaggio alla guerra per bande e la fine di qualsiasi equilibrio della società civile.

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